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venerdì 4 settembre 2015

Dalla ritrattistica tardo-antica alle prime icone del monastero di Santa Caterina del Sinai

Nel mondo greco-romano era tradizione affiggere non solo immagini di divinità ma anche immagini commemorative di personalità che nella loro vita erano state importanti e rispettate. Negli ultimi secoli del mondo antico ebbero una particolare fortuna i ritratti familiari che potevano essere di persone vive e destinati a persone vive oppure ritraevano una persona defunta e in quel caso avevano una funzione commemorativa. Accanto a questa tipologia di ritratti si svilupparono anche i ritratti pubblici che spesso erano destinati a quell'ambiente sociale specifico di cui faceva parte il soggetto raffigurato: in questo caso dunque il ritratto, più che somigliare fedelmente alla persona doveva indicarne l’appartenenza sociale attraverso una serie di attributi ben definiti.
La Tarda Antichità conobbe una rigogliosa produzione immagini, in particolare di ritratti che, come si è appena detto, non si basavano più di tanto sulla rassomiglianza fisica ma insistevano sul rango sociale e sul potere che avevano caratterizzato il personaggio. Tra le immagini più diffuse vi erano quelle degli imperatori – rivestite di valore giuridico poiché sostituivano fisicamente l’imperatore nei tribunali – che erano impresse su diversi tipi oggetti come monete, scettri e sugli abiti dei consoli. Quindi, nel momento in cui si andava a raffigurare un personaggio di particolare levatura sociale, più che sulla rassomiglianza fisica, si conferiva particolare enfasi ai gesti e agli atteggiamenti in modo che da essi era possibile riconoscere ora un sovrano ora un dignitario. Sebbene infatti alla fine del IV secolo i ritratti funerari scomparvero, il loro schema iconografico sopravvisse grazie all’arte cristiana che se ne servì per raffigurare i suoi santi.
 L’arte bizantina inoltre ereditò le tre più diffuse tipologie della ritrattistica antica e cioè la figura rappresentata in piedi, la figura a mezzobusto rinchiusa nel clipeo oppure in una cornice di forma rettangolare .
Per molti padri della Chiesa delle origini la venerazione delle immagini fu vista come un pericolo che ostacolava  il fedele nel suo percorso spirituale. Tuttavia nel corso del IV secolo si diffusero sempre più le immagini volte a celebrare i santi martiri, in grado - secondo Gregorio di Nissa  -  di contribuire all'esperienza sensoriale del fedele: in altre parole quest’ultimo, attraverso le reliquie e l’immagine sarebbe stato capace di trascendere il mondo terreno e avvertire dunque la presenza ‘fisica’ del santo.
I ritratti di personaggi cristiani presentano una connessione più profonda con il mondo pagano. I primi ritratti di santi, di Cristo o della Vergine erano venerati in contesti domestici e spesso si trattava di offerte votive per ringraziare la divinità in seguito ad un evento miracoloso. Tale fenomeno risale all'Antichità quando nei templi greco-romani si depositavano una serie di offerte votive volte a celebrare gli eventi più disparati come una vittoria in guerra o la guarigione dalla malattia.
Di fondamentale importanza per comprendere l’origine stilistica delle prime icone bizantine sono anche i ritratti di mummie, diffusi in Egitto a partire dal I secolo d.C. i cui esemplari più noti sono quelli rinvenuti nel Fayyum . Si tratta di tavolette in legno su cui si realizzavano dei ritratti dei defunti con un’incredibile attenzione per i dettagli fisiognomici  e che poi si ponevano sulle mummie; la tecnica di realizzazione a partire dal IV secolo d.C. fu soprattutto l’encausto e  lo stile riprendeva quello della pittura ellenistico-romana. Ciò che sorprende di questi ritratti è l’estrema cura per i dettagli ma un altro elemento che cattura l’osservatore sono i grandi e profondi occhi che riflettono un senso di tranquillità e pace interiore.
Più nel dettaglio, i tratti peculiari dei dipinti del Fayyum si ritrovano nelle prime icone che infatti presentano un maggiore naturalismo rispetto a quelle dei secoli successivi, mi riferisco infatti alle più antiche icone ritrovate nel monastero di Santa Caterina del Sinai che furono realizzate con la tecnica dell’encausto.




L’isolato monastero di Santa Caterina del Sinai fu costruito per volere dell’imperatore Giustiniano (527-565) anche se le fonti antiche divergono sulla funzione di tale edificio. 
Le icone realizzate prima del 726 d.C. – anno in cui Leone III si pronunciò pubblicamente contro  la venerazione delle icone –  permettono di delineare i caratteri stilistici ed iconografici della prima arte bizantina ma anche di comprendere lo sviluppo dell’icona nei secoli successivi.
Si è pensato che queste icone costituissero dei doni offerti dall’imperatore Giustiniano per il monastero da lui fondato dove però non avevano una precisa collocazione ma erano conservate in una sala per poi essere mostrare sul proskynetarion durante alcune celebrazioni. Le tre icone di cui si parlerà in dettaglio (che sono quella di Cristo, di San Pietro e della Vergine) data la loro dimensione è probabile che trovassero posto sui pilastri o sulle colonne della chiesa.
   Per quanto riguarda l’icona raffigurante Cristo, di particolare interesse sono le mani sottili – una benedicente e l’altra che tiene in mano un Vangelo rilegato ed impreziosito con gemme –   rese con poche ed essenziali linee, quasi in maniera ‘geometrica’. Splendido è il sensuale volto dal luminoso color avorio dove risaltano dei contorni  scuri volti a sottolineare le ciglia degli occhi e il naso, si osservi anche la tonalità grigio-olivastra intorno al collo, sotto la bocca e sotto le sopracciglia e il lieve tono roseo delle labbra e delle palpebre. Il carattere naturalistico è poi conferito anche dai baffi e dalla barba di cui si percepisce un lieve movimento e dai capelli raccolti su di un lato. Se da una parte l’artista è stato abile nel ritrarre la natura umana di Cristo, al contempo è riuscito anche a restituire quella divina attraverso lo sguardo che colpisce per solennità e astrazione. La coesistenza di queste due nature ricalca per Kitzinger  il modo che gli Antichi avevano nel realizzare le sculture delle divinità: in particolare lo  studioso fa un confronto molto interessante tra la suddetta icona e lo Zeus Olimpio di Fidia; secondo Kitzinger infatti l’arte cristiana a partire dal VII avrebbe conosciuto una ripresa dello stile ellenistico attraverso il quale gli artisti avrebbero conferito un’umanità realistica e tangibile anche alle figure divine.
Si noti inoltre che alle spalle di Cristo s’intravede una nicchia con una porzione di cielo stellato che conferiscono spazialità alla composizione.
A differenza delle successive raffigurazioni severe del Cristo Pantocratore, in questa icona il volto è  solenne ma è caratterizzato da una solennità umana e non distaccata, ed esprime una serenità interiore.
Data l’alta qualità si crede che l’icona sia stata realizzata a Costantinopoli, tesi che è rafforzata dal fatto che questa iconografia di Cristo sarà utilizzata come effige per le monete imperiali a partire dal regno di Giustiniano II .
Per quanto riguarda la datazione dell’icona Weitzman propone il VI secolo così come anche Boyd  - secondo quest’ultima  inoltre l’icona riflette la temperie classicista del regno di Giustiniano I – ; Kitzinger , invece, sposta la datazione dell’icona all’VIII secolo, considerandola  coeva all’icona di San Pietro – sempre del Sinai – di cui si parlerà a breve. Per lo studioso non esistono altri esempi  del VII secolo di ritratti così raffinati e realistici.
  

Testa di Zeus - 350-340  a.C., Museum of Fine Arts, Boston (Kitzinger la confronta con l'icona di Cristo del Sinai)

 L’icona della Vergine in trono col Bambino, angeli e santi militari è un vero capolavoro del primo periodo bizantino e offre inoltre alcuni spunti interessanti soprattutto a livello iconologico.
La Vergine, rappresentata in una posizione ieratica e con sguardo austero, indossa una tunica viola e un maphorion dello stesso colore, le scarpe invece sono rosse, colore che indica regalità. Il suo volto è reso con un tono grigio-olivastro volto a sottolineare la sua divinità e l’astrazione dal mondo terreno così come anche lo sguardo rivolto a destra. Il Bambino è avvolto da una tunica e un mantello color ocra. Ai due lati trovano posto le due figure di santi militari vestiti con abiti sontuosi con decorazioni elaborate e preziose, raffigurati mentre impugnano entrambi la croce dorata del martirio: quello a destra – identificato con San Teodoro – ha capelli e barba scuri e un viso realizzato con una tonalità marrone-rossastra mentre il santo più giovane a sinistra – identificato con San Giorgio o con San Demetrio  – ha capelli chiari e un volto pallido. A differenza del manto della Madonna, più omogeneo e piatto, gli abiti dei due santi militari trasmettono l’idea della tridimensionalità grazie alle pieghe e ai giochi di ombre e luci sulla superficie.
In secondo piano sono rappresentati due arcangeli con i loro caratteristici scettri, avvolti da vesti bianche, mentre guardano in alto verso le mano di Dio da cui parte un raggio di luce che si posa sull’aureola della Vergine. Il biancore che pervade queste due figure è stato impiegato per evidenziare la loro natura eterea e celeste, a differenza dei due santi rappresentati come due uomini reali, quasi come se fossero due dignitari imperiali. Come si è detto per l’icona di Cristo, anche questa riflette quel particolare stile sviluppatosi a Costantinopoli caratterizzato dalla compresenza di una componente ellenistica e di quella astratta. Circa la datazione dell’opera in questione Kitzinger la colloca nella prima metà del VII secolo mentre Weitzman al VI secolo, cronologia accettata anche da Falla Castelfranchi che ha  magistralmente ricostruito il contesto storico-culturale dell’icona. L’icona infatti dovrebbe costituire, insieme a quella del Cristo Pantocratore, un dono che l’imperatore Giustiniano fece in occasione della celebrazione del monastero da lui stesso commissionato. In particolare l’icona con la Vergine sembra essere collegata con la ricostruzione del monastero che fu protetto dalle scorribande barbare grazie ad un presidio militare: allo stesso modo i due santi militari dell’icona proteggono la Vergine col Bambino dalle eresie che in quel tempo imperversavano in Egitto .




Interessante è infine il confronto che è stato proposto tra l’icona della Vergine e l’iconografia della dea Iside (che aggiunge ulteriori risvolti al rapporto con il mondo pagano  nell’arte cristiana dei primi secoli), particolarmente venerata durante l’Ellenismo. In Egitto questa dea era spesso associata al figlio Horus ed era indicata con l’appellativo di Theotokos, termine con cui si indicherà anche la Madonna. Le rappresentazioni di questa dea erano molteplici e in particolare quella col figlio Horus ricorda in maniera sorprendente l’iconografia della Madonna col Bambino. Nell’icona del Sinai si è visto come la Vergine sia assisa su un trono riccamente decorato: il trono è anche un attributo della dea Iside, così come anche il simbolo del suo geroglifico; lo sguardo solenne e rivolto a destra della Madonna ricorda poi alcuni ritratti di Iside risalenti all’età romana, si tratta dello stesso sguardo lontano e distaccato che riflette una condizione sovramondana .
   Di straordinaria qualità è anche l’icona raffigurante San Pietro a mezzo busto, all’interno di una splendida nicchia classicheggiante – su cui si staglia un bellissimo cielo realizzato con diverse striature di blu sino a divenire bianco nella parte superiore – decorata con un fregio dorato. L’apostolo presenta i caratteristici capelli e barba bianchi) ed è vestito alla maniera degli antichi filosofi con una tunica e un mantello grigio-olivastri con diverse sfumature per creare le pieghe del panneggio. In una mano regge le chiavi e nell’altra un’asta cruciforme (con riferimento al suo martirio). Il viso è realizzato con colori caldi che conferiscono alla figura un aspetto naturalistico sorprendente, si noti poi lo sguardo meditabondo e al contempo solenne degno dell’apostolo destinato a porre la prima pietra della Chiesa e a ricoprire il ruolo di primo rappresentante di Cristo sulla terra. La testa di san Pietro è poi circondata da un grande nimbo color giallo-ocra con un bordo bianco e blu scuro.
Al di sopra della nicchia e del santo sono raffigurati tre medaglioni che, come il nimbo di San Pietro, sono di color giallo-ocra con i due bordi bianco e blu scuro. Quello al centro, leggermente più grande, ospita Cristo con i caratteristici tunica e mantello viola, il suo viso è pallido e contrasta in maniera evidente con il viso fortemente realistico di San Pietro. Il medaglione a destra ospita la Vergine che indossa un maphorion marrone mentre i suoi capelli sono raccolti in una sciarpa blu impreziosita con perle. Il medaglione a sinistra ospita invece il ritratto di un giovinetto imberbe dai grandi occhi e dai folti capelli scuri su cui si è a lungo dibattuto circa la sua identificazione: è probabile che si tratti di san Giovanni Evangelista che appare nelle raffigurazioni della Crocifissione a cui rimandano proprio i tre medaglioni.
Per quanto riguarda la datazione e il luogo di produzione Weitzman colloca l’icona tra la fine del VI e l’inizio del VII secolo e afferma che essa fu realizzata a Costantinopoli dove, più che nelle altre città, era ancora presente la tradizione classica. Per lo studioso infatti l’icona di San Pietro riprende lo stile dei ritratti realizzati nella Tarda Antichità  (per Weitzman la derivazione dell’icona esclusivamente dai ritratti del Fayyum è impensabile) ma riprende anche alcuni elementi dell’iconografia imperiale come aveva già intuito André Grabar quando studiò l’icona allora scoperta da poco. Ad avvalorare questa tesi si prenda infatti in considerazione il dittico eburneo raffigurante il console Anastasio (VI secolo): la composizione, sebbene si tratti di un soggetto laico, ricorda quella dell’icona per via della figura centrale di Anastasio e dei tre tondi in alto che ospitano le teste dell’imperatore, dell’imperatrice e di un uomo che probabilmente è il co-console . Lo schema del dittico eburneo è strutturato in maniera che se ne percepisca il forte simbolismo: il console, raffigurato seduto sotto un baldacchino, riceve il potere direttamente dai sovrani – l’imperatore e l’imperatrice ritratti in alto – e lo condivide con il secondo console. Si noti dunque come tale schema sia ripreso in maniera sorprendente nell’icona dove il significato, seppur passi da quello imperiale a quello cristiano, non cambia: allo stesso modo San Pietro è apostolo e santo per volontà di Cristo e della Madonna e inoltre egli condivide il suo essere discepolo di Cristo con il giovane santo ritratto in alto a sinistra .

Una proposta interessante proviene da Kitzinger che data l’icona al 700 (quando cioè per lo studioso giunge all’apice uno stile monumentale e naturalistico d’impronta ellenistica) ed effettua inoltre un confronto stilistico con gli affreschi romani di Santa Maria Antiqua dove si notano le stesse lumeggiature e lo stesso modo di rappresentare i panneggi .


Sant'Anna - affresco - Prima metà del VII secolo - Santa Maria Antiqua, Roma.



Pietro Perrino


Citazioni bibliografiche:

Per la ritrattistica: 

A. Grabar – M. Della Valle (a cura di), Le vie dell’iconografia cristiana. Antichità e Medioevo, Milano 2011, pp. 65-91.

K. Marsengill, «Portraits and icons in Late Antiquity», in Transition to Christianity. Art of Late Antiquity, 3rd-7th Century AD, edited by Anastasia Lazaridou, New York 2011, pp. 61-66.

S. Donadoni, E. Coche de la Ferté. Ad vocem «fayyum» in Enciclopedia dell’Arte Antica Treccani, 1960, consultata all’indirizzo http://www.treccani.it/enciclopedia/fayyum_%28Enciclopedia_dell%27_Arte_Antica%29/

Per le icone del Sinai:

 F. Mathews, «Early Icons of the Holy Monastery of Saint Catherine at Sinai» in Holy Image-Hallowed Ground. Icons from Sinai,  catalogo della mostra tenuta al Getty Museum , Los Angeles 2006-2007,  pp.  39-45.

K. Weitzman, The Monastery of Saint Catherine at Mount Sinai, The Icons. Volume one: from the Sixth to the Tenth Century, Princeton University Press, Priceton 1976,  pp. 3-10. 

S.A. Boyd, «Icon of Christ Pantocrator», in Age of Spirituality. Late Antique and Early Christian Art, Third to Seventh Century, edited by Kurt Weitzman, The Metropolitan Museum of  Art , New York, 1979, pp. 527-258.

M. Falla Castelfranchi, « Non solo ˃ellenismo perenne˂  nella pittura bizantina delle origini», in M. De Giorgi, A. Hoffmann und N. Suthor, Synergies in Visual  Culture – Bildkulturen im Dialog, Festschrift für Gerhard Wolf, München 2013, pp. 387-394.

T.F. Mathews, «Early Icons of the Holy Monastery of Saint Catherine at Sinai», pp. 47-48.

E. Kitzinger,  Alle origini dell’arte bizantina. Correnti stilistiche nel mondo mediterraneo dal iii al vii secolo, Milano 2004